Scoprire la Sardegna: l’entroterra da visitare
Per scoprire la Sardegna ci sono luoghi lontani dalle mete note, pronte ad essere scoperte. Ci sono luoghi che stanno lì, a portata d’occhio e nessuno li vede, nessuno ci cammina sopra, nessuno li tocca, fin quando non diventano scoperta, sorpresa, esperienza.
Tutti conoscono la Sardegna del mare, quella del trend turistico crescente, quella alla portata di tutti, facile da raggiungere, dove la vacanza sull’isola è soprattutto tintarella e divertimento.
Qualche esempio? Costa Smeralda, San Teodoro, Tavolara, Porto Torres, Stintino,Asinara e Capo Caccia, Alghero e le coste del Sulcis, l’Iglesiente con Capo Teulada, la sabbia di Piscinas, le isole di Sant’Antioco e San Pietro.
Spostandosi verso l’entroterra, invece, ossuti rilievi nascondono l’altra isola, quella che dà le spalle al mare, dove il tempo è decisamente diverso, e dove le sorprese vanno snocciolate piano piano, magari sotto le note di Passalento di Paolo Fresu.
Come ogni medaglia che si rispetti c’è un secondo lato, quello meno noto, che poche volte si legge sui depliant, difficile da raggiungere, difficile anche da nominare.
Silenzi da mondo incantato
Qui l’isola si chiama Ichnusa, l’antico nome delle carte geografiche e delle rotte marinare.
Qui l’isola ha pietre antiche, antichissime, con nuraghi e tombe dei giganti lontani, ore e ore dall’asfalto.
Qui l’isola ha lecci, ginepri, ulivi e corbezzoli, che hanno sfidato venti furiosi e numerosi secoli.
Qui l’isola ha silenzi fitti, della stessa pasta del formaggio che i pastori fanno nei loro cuili tra fiamme lente e fumi magici.
Qui la Sardegna è l’isola che non c’è, una favola di entroterra e mare dove recitare la toponomastica del luogo vuol dire sciorinare una preghiera al paganesimo nella quale non s’invocano santi o Madonne ma danze attorno al fuoco coi velli di pecora sulle spalle, le maschere taurine dei Boes e i campanacci dei Mamuthones.
Il luogo dell’itinerario insolito è l’Ogliastra, dove un solo sguardo basta e avanza per capire che le scorze rocciose dei paesaggi sono cassapanche piene di cose insolite, che luccicano come metalli preziosi.
Il punto di partenza per scoprire questa regione dell’isola è l’Arbatax Park, un complesso di hotel nel parco marino di Capo Bellavista, tra verde rigoglioso e rocce a picco sul mare.
Siamo a due passi dai famosi Scogli Rossi, rossi davvero ma al tramonto sono fiamme che prendono ad agitarsi contro il cielo come il falò di uno sciamano che, in alto, indica bia maore (la via maggiore).
Insomma, il giro per scoprire l’altra Sardegna sta in ben altre quote risalendo la valle del Pardu al cospetto di Perda Liana, un ferruginoso e solitario monolito calcareo, dove i cosiddetti Tacchi ricordano, per filo e per segno, i monoliti dell’Arizona del celebre fumetto Tex Willer.
Una ciliegia tira l’altra…
Si passa prima per il borgo fantasma di Gairo Vecchio, abbandonato dal 1963, e poi si sale a Osini con le campagne zeppe di ciliegeti.
Sosta di rito, un frutto tira l’altro, e si arriva già alle Termopili d’Ogliastra: la Scala di San Giorgio, un intricato reticolo di gole e fratture (is breccas) tra pareti d’aspetto dolomitico.
In alto, guadagnando quota, si arriva sull’altipiano di Serbissi, sorvegliato da lecci millenari, coi rami contorti che parlano di fatiche e lotte contro la tramontana. Quando arriva spazza tutto, ruba i petali bianchi agli asfodeli (l’etimologia del luogo sta appunto nel nome sardo di questa pianta: sarbuso) e sembra che nevichi, dicono i pastori del posto.
Sopra a tutto, a quota mille metri, gli antichi nuragici crearono uno dei più straordinari capolavori della loro architettura: il nuraghe di Serbissi. Per arrivarci occorre prendere di petto un sentiero in salita, tra cisti e lentischi profumati, che arriva a un capanno ligneo, dove è allocato l’infopoint della cooperativa Archeo Taccu.
Con loro si visita il monumento sulla cima di un piccolo monte, a 964 metri di quota: un singolare nuraghe a tholos dell’età del Bronzo Antico con una grande torre centrale troncoconica, altre laterali e ciò che resta di un piccolo villaggio di capanne.
Sotto, invece, c’è una grotta carsica che fu frequentata dagli stessi abitanti del villaggio nuragico.
Dal facile ingresso, visitarla è come fare una velocissima lezione di geologia che permette di attraversare e osservare le pareti di una lunga galleria scavata da un antico fiume sotterraneo a partire da 70milioni di anni fa nelle rocce mesozoiche del Giurassico. Ma non è la sola sorpresa ipogea del luogo.
Poco più a sud, a Ulassai – un piccolo paese noto per l’arte tessile con la produzione di coperte, tappeti e tende in lana sarda, lino e cotone – i Tacchi celano una delle grotte più ampie dell’intera isola.
Si chiama Su Marmuri, questa caverna da ciclope lunga oltre 850 metri e profonda circa 35.
Turistica dal 1956, esplorarla significa restare a bocca aperta tra ampie sale e lunghe gallerie scavate milioni di anni fa dalla forza devastante di un fiume ormai scomparso.
Un posto inatteso, che da qualche tempo è balzato alle cronache mondiali per la cosiddetta blue zone.
Qui più che altrove nel Mediterraneo – come a Okinawa (Giappone), Nicoya (Costa Rica), Loma Linda (California) – si vive a lungo.
Proprio così, i più longevi d’Italia si trovano qui e passeggiano, indisturbati dall’alto dei fatidici cento anni, tra i borghi di Arzana, Villagrande Strisaili, Perdasdefogu, Talana, Baunei, Urzulei, Usassai.
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Testi e foto di Carlos Solito
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