La signora di Montalcino: storia di Emilia Nardi
Per una delusione d’amore una volta si finiva in convento, Emilia Nardi, la signora di Montalcino, ha invece scelto di ritirarsi in campagna e sulla scia del padre Silvio, di fare il vino. Quella che sembrava una via di fuga nel lontano 1985 è oggi una storia di successo, portata avanti da una donna bella e determinata, innamorata della sua fattoria a Montalcino e per nulla pentita del suo status di “provinciale”. Anche se la politica è nelle sue corde, non per nulla ha di recente tenuto una conferenza all’Onu come membro dell’ “Onilfa”, l’Osservatorio per l’imprenditoria e il lavoro femminile in agricoltura. «Tra i miei 38 dipendenti ci sono diverse donne –dice – e sono stipendiate alla stregua dei colleghi uomini e tutelate nei periodi della maternità. E questo – mi creda- non è una prassi condivisa, purtroppo».
L’azienda “Tenute Silvio Nardi” si staglia in una campagna vera, antica, quella di Montalcino, con tanti campi destinati alle colture più diverse, dal grano all’erba medica, che interrompono le distese delle vigne e i fitti boschi. Anche il paese più vicino, Buonconvento, porta un nome allusivo e rassicurante: parla di viandanti e ospitalità. E a qualche chilometro di distanza dà un senso di calda accoglienza la grande casa di Casale del Bosco attorno alla quale sono nate le tenute di famiglia, tre in tutto, con 80 ettari vitati che producono Brunello (a Manachiara e a Poggio Doria), i più vecchi, il rosso di Montacino quelli più giovani, con l’Igt e due Cru. Al nucleo originale della tenuta, Casale del Bosco, sono state aggiunte Manachiara, Castelnuovo dell’Abate, e poi il Castello di Bibbiano. E pensare che Casale era un borgo agricolo in cui si viveva senza clamori nonostante quel Sangiovese che solo qualche tempo dopo si rivelerà un tesoro, fiore all’occhiello dell’enologia mondiale. Se ne accorse una ragazza biondissima che appena ventenne entra nell’azienda di famiglia dapprima spaventata da problemi più grandi di lei, poi – come racconta – consapevole delle potenzialità. Siamo già agli anni ’90 quando Emilia Nardi assume il ruolo di direttore generale dell’azienda, frequenta corsi specifici alla Facoltà di Enologia di Bordeaux e lì conosce uno dei guru del mondo del vino, il professore Yves Glories, con cui stringe un sodalizio e lo coinvolge nelle sue vigne. A Montalcino a quei tempi si faceva quasi tutto in casa e al rigore scientifico si preferiva il pragmatismo delle tradizioni, del “si è sempre fatto così”. Fece dunque scalpore la presenza in vigna del luminare francese ( Yves Glories) esperto in modalità e tempi di vendemmia, quello che in enologia si chiama valutazione della maturità fenolica delle uve.
Oggi il Sangiovese rappresenta il 90% della superficie vitata, allevato a cordone speronato (con sei / otto gemme per pianta) e con una densità di 5.200 piante per ettaro. L’intero parco vitato è suddiviso in 8 macro appezzamenti a loro volta suddivisi in 36 parcelle. Procedendo da sud verso nord s’incontrano gli appezzamenti: Colombaiolo, Manachiara, Pinzale, Casale del Bosco, Oria, Sassi, Cerralto, Grancia. «Montalcino – riprende Emilia Nardi- oggi è una meta turistica glamour, ma allora era davvero difficile passare le giornate qui, perciò avevamo e abbiamo ancora un ufficio a Città di Castello, d’altra parte la nostra famiglia è metà toscana e metà umbra. È stato Biondi Santi – continua Emilia Nardi – a convincere mio padre negli anni ‘50 che era tempo di impiantare le vigne nella nostra terra. La nostra all’inizio era un’azienda di meccanizzazione, la fondò mio nonno Francesco, e quelle macchine le abbiamo cedute solo un anno fa. Ci siamo dedicati completamente al vino – che non può essere biologico perché siamo troppo grandi. Il nostro business? 25 mercati: l’Asia, L’Europa del Nord, gli Usa e più di recente il Sud America».
di Loredana Ficicchia
© Riproduzione riservata.